mercoledì 4 luglio 2007

Ambientalismo del sì o del no

È passata ormai una settimana dal discorso al Lingotto con cui Veltroni ha voluto dividere il mondo dell’ambientalismo in “quelli del sì” e “quelli del no”. Non mi pare però che da quel mondo siano arrivate reazioni significative né di plauso né di condanna, né che si sia aperto un dibattito nelle e fra le varie associazioni ambientaliste per capire se quella classificazione abbia un senso e se sì da che parte della linea di demarcazione si è disposti a collocarsi. Eppure sarebbe una discussione assai utile e non solo per gli ambientalisti.

Personalmente non credo sia mai esistito un “ambientalismo del no” e non credo possa esistere un “ambientalismo del sì” se con questa espressione vogliamo indicare quello che, secondo Giovanni Valentini, è «capace di coniugare sviluppo, crescita economica e qualità ambientale», quello che, sempre Valentini con involontaria ironia, chiama «ambientalismo sostenibile» (sostenibile per chi, per chi inquina?)
Non credo insomma che la distinzione segnata da Veltroni abbia granché senso, piuttosto penso che l’illusione della sua esistenza possa nascere da un raggiro terminologico o da una illusione tecnicistica.

«Io credo nel progresso. Non credo nello sviluppo»
“Sviluppo” e “crescita” sono due parole che possono essere usate in molte accezioni e, per questo che a volte sembrano capaci di mettere tutti d’accordo.
La questione è tutta lì: che cosa intendiamo per “crescita”, quali indicatori usiamo per misurarla e, soprattutto, qual è lo scopo di tale misura.
Come si può continuare a parlare di crescita se ci si riferisce a quella dei consumi quando questa, ormai con evidenza clamorosa, non può che sfociare nell’estinzione della specie umana o in nuovo medioevo?
E come si può pensare di continuare ad utilizzare il PIL come strumento di calcolo della ricchezza di un paese e come base degli indicatori finanziari quando il prodotto interno lordo si alimenta e cresce anche grazie ai danni e ai disastri che proprio la crescita produce e, persino, del pasticciato tentativo di porvi rimedio?
Bisognerebbe spiegare in maniera chiara che la crescita economica della Campania dell’era del Commissario per l’emergenza rifiuti è stata alimentata proprio da quella emergenza e proprio dalla crescita dei rifiuti.
Vogliamo che entri nel vocabolario ambientalista la parola “crescita”?
Ci sto, ma a patto che si utilizzino indicatori capaci di porre il segno meno davanti all’incendio di una foresta o allo speco di acqua ed energia che invece oggi fanno lievitare gli introiti degli enti gestori. Facciamo in modo che i morti sul lavoro pesino pesantemente in negativo sul PIL.

Ma qual è lo scopo degli indicatori finanziari? Incanalare i flussi finanziari. Attirare il denaro dove potrà produrre altro denaro
Ad un ambientalista (ma anche ad una persona qualunque) perché dovrebbero stare a cuore simili indicatori? Quello che può interessargli sono indicatori utili a segnalare se in un paese si riesce ad essere felici.
È dagli anni Settanta che si verifica in tutti i paesi occidentali un paradosso: più cresce il reddito e meno la gente è felice. Gli economisti lo chiamano “paradosso di Easterlin”

Naturalmente ci sono persone che hanno visto cresce il loro reddito e con quello il loro tasso si soddisfazione. Gente come Corona, Lele Mora, furbetti vari, calciatori, veline, direttori strapagati di giornali che non compra nessuno, politici, imprenditori fortunati e ammanigliati. Ma questo fa solo media.

E qui veniamo ad un altro punto dolente del discorso di Veltroni: il modo in cui ha tentato di conciliare meritocrazia ed equità.
Chi può non credere all’importanza di riconoscere il merito? Chi può non desiderare che il giusto compenso sia dato a chi lavora duramente? Un sacco di gente. Per la semplice ragione che riconoscere pienamente il merito comporta il rifiuto di ogni privilegio iniziale: la meritocrazia non richiede nessuna altra misura per essere equa, lo è di per sé.
Tutti alla partenza con le stesse opportunità: nessuno deve essere condannato a partire nella vita con la certezza della sconfitta. Ma pensate che in Italia cose del genere si possano dire se non per scherzo o in maniera puramente retorica?

Così Veltroni ha pensato di citare Olof Palme: «Bisogna fare la guerra alla povertà non alla ricchezza» dimenticandosi di dire che quella frase appartiene ad un’epoca che non esiste più, in cui si credeva che le risorse del pianeta fossero inesauribili, e che oggi in Occidente non solo non facciamo la guerra ai ricchi ma la facciamo ai poveri, a tutti quei miliardi di persone miserabili sulle spalle delle quali grava la nostra ricchezza.
Se l’economia cresce, dice il candidato alla leadership del Pd, tutti avranno più possibilità: la marea che monta fa salire tutte le barche.
Veltroni sembra aver trovato l’uovo di Colombo: facciamo dell’ambiente il nuovo motore dell’economia.
Non è purtroppo così semplice: glielo potrebbe spiegare (e spero che si decida a farlo) lo stesso personaggio simbolo di questa rivoluzionaria prospettiva: Jeremy Rifkin.
Non basta far andare le macchine ad idrogeno: anche così continueranno rendere la vita impossibile in città e ad ammazzare un sacco di gente nei weekend. O forse questo non si può dire da quando la FIAT ha rincominciato a macinare utili e a fare pubblicità sui giornali?

Mi resta una curiosità: a chi si riferiva Veltroni quando parlava di “ambientalismo del no”? Forse che non sia una legittima aspirazione quella di chi vuole conservare la propria acqua, il proprio paesaggio, la propria aria, la propria tranquillità, la propria economia e che se la vedono portare via da chi potrà così mettersi in tasca fruscianti banconote?
Mi chiedo cosa farebbero Veltroni e Valentini se per le irrinunciabili necessità della crescita si dovesse costruire davanti a casa loro un bello svincolo a quadrifoglio? Immagino che venderebbero casa e si trasferirebbero altrove.
Loro possono. C’è chi non può e non intende rinunciare a quell’aria, a quel paesaggio, a quel tramonto che costituiscono buona parte della loro ricchezza.
Perché dovrebbero? Forse che il figlio del primario rinuncia ad avvalersi di tutti i vantaggi che può procurargli suo padre?

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