martedì 26 dicembre 2006

Quando è successo

Quando è successo che quella che sembrava una irreversibile prospettiva di crescita illimitata, la promessa di un futuro sempre migliore e di sempre maggiore abbondanza, la prospettiva del paese del latte e del miele finalmente alla portata di tutti, di questo sogno che diventa realtà declinato in modi convergenti, da una parte dal socialismo delle magnifiche sorti e progressive fintanto che è durato e dall’altra, ancora oggi con cieca ostinazione, dal capitalismo rampante, si è dissolta nella dolorosa consapevolezza della limitatezza delle risorse e della fragilità degli ecosistemi?

E quando è successo che questa finitezza intuita, più che vista, lontana nello spazio e remota nel tempo è diventata palpabile e presente, visibile e incombete, così quotidiana da privarci delle nostre prospettive personali e familiari di un futuro rassicurante?

Gli anni Settanta sono quelli in cui avvenne la prima presa di coscienza (sono di quegli anni i grandi classici dell’ambientalismo da “I limiti dello sviluppo” del Club di Roma, a “Primavera Silenziosa” di Rachel Carson, ma anche gli anni in cui ci abituiamo alle foto prese dallo spazio della Terra), gli anni in cui della presa di coscienza della nostra dissociazione dal pianeta, gli anni dello “spaesamento ecumenico”.

Gli anni Ottanta sono stati gli anni in cui si cominciò a manifestare e poi diventa conclamato il disaccoppiamento fra la crescita del PIL e il grado di soddisfazione personale. Vuol dire che se per avvertire un miglioramento nella propria esistenza, è inizialmente diventato necessario un aumento più che proporzionale del reddito, ora siamo al punto che a fronte di un PIL che continua ad aumentare la qualità della vita percepita è in rapida discesa. La felicità impossibile è diventata una prospettiva di massa per l’Occidente.

Gli anni Novanta, all’indomani del crollo dell’Unione Sovietica e dell’impressionante crescita economica degli Stati Uniti, sono stati gli anni della consapevolezza da parte delle élite della finitezza delle risorse e della necessità di un loro controllo globale.

Il nuovo secolo vede il perseguimento della soddisfazione personale trasformato ormai in ideologia di massa anche in presenza della consapevolezza oramai acquisita della finitezza delle risorse e quindi della logica conseguenza che l’accrescimento della soddisfazione personale comporta la crescita dell’infelicità dell’altro.

Di questo clima di accaparramento e di rincorsa egoistica alla soddisfazione personale e familistica, sono specchio fedele questi ultimi cinque anni di governo Berlusconi.
Dichiarare – come ha fatto l’ex premier in campagna elettorale – che è cosa irrealistica e contraria al legittimo stato delle cose, la pretesa del figlio dell’operaio di godere delle stesse opportunità del figlio del professionista, non è stato affermare semplicemente qualcosa di politicamente scorretto. È piuttosto affermare qualcosa di ampiamente condiviso da parte di una classe media sempre più preoccupata di perdere le proprie prerogative e che sa che oggi potrà conservarle solo negandole a chi le pretende, trasformandole in privilegi di casta.
Privilegi che non pensa più di poter mantenere attraverso una rete diffusa di solidarietà, ma solo attraverso una rete clientelare e familistica.

Il risvolto giuridico di questa nuova condizione antropologica è rappresentato dal Neo-contrattualismo, dottrina che vuole lo stato sempre meno difensore dei principi generali fondativi della nazione e sempre di più semplice arbitro neutrale di contese individuali.
In questa prospettiva categorie quali "interesse collettivo " e "bene collettivo" vengono, un passo dopo l'altro, messe in discussione. Il bene collettivo è in questa prospettiva un controsenso: se è di tutti non è di nessuno e, soprattutto, non ha valore. Fino ad arrivare al paradosso, ampiamente esplicitato, che l'unica possibilità di difesa per i beni ambientali consiste nella loro privatizzazione.
Quindi spiagge private. Boschi privati. Montagne private.
Acqua privata.

Come ci si oppone a tutto questo? Intanto dimostrando che, ammesso che l’idea dell’egoismo individuale come propulsore della crescita abbia una qualche validità, ce l’ha in una prospettiva di crescita illimitata. E smette di avere completamente quando si entra in una fase in cui la creazione del reddito comporta una distruzione di ricchezza maggiore


Salvaguardia di beni che non possono essere sottratti al godimento e, quindi, al controllo della collettività.
L’idea che la tutela dei beni naturali possa avvenire solo attraverso la loro privatizzazione, perché solo un interesse privato può opporsi efficacemente ad altri interessi privati che puntino al loro incontrollato sfruttamento va radicalmente rigettato, perché porta alle conseguenza inaccettabile che un bene naturale possa essere riconosciuto solo in quanto trasformato in merce.

La prospettiva ambientalista è una prospettiva olistica.
La prospettiva che ci troviamo di fronte è una prospettiva che può essere evitata solo con una presa di coscienza collettiva e una altrettanto collettiva assunzione di responsabilità.
I processi di partecipazione e di creazione di sentire comune, di condivisione hanno un ruolo cruciale. I nemici sono i “particellatori” della vita: le comunicazioni unidirezionali, i trasporti individuali, i non luoghi, le negazioni delle specificità e ricchezze locali.

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