venerdì 15 febbraio 2008

L’ambientalismo di Walter

Walter Veltroni ha aperto il suo “Discorso per l’Italia”, parlando di ambiente e di quello che ha chiamato “l’ambientalismo del fare”, espressione che ha utilizzato per sostituire l’altra, “l’ambientalismo del sì”, che aveva formulato nel suo discorso al Lingotto nel giugno del 2007 e che assai poco era piaciuta al mondo ambientalista perché percepita come una ingiusta divisione, pregiudiziale e astratta, fra buoni e cattivi.
Le coordinate politiche a cui le due locuzioni fanno riferimento, però, non sono cambiate; quello che è cambiato è il makeup comunicazionale: se con l’“ambientalismo del sì” veniva puntato il dito contro i troppi interessi particolari che terrebbero sotto scacco lo sviluppo del paese, con l’“ambientalismo del fare” viene proposta la tesi, peraltro già contenuta nella mozione Fassino del II Congresso dei DS del 2002, secondo la quale l’evoluzione scientifica e il progresso tecnologico sarebbero ormai tali da consentire risposte risolutive alle questioni ambientali e pertanto non rallentare ma, al contrario, accelerare si deve lo sviluppo economico che «può e deve sposarsi con la qualità della vita».
L’ambizione, si dice in maniera esplicita nel discorso di Spello, è quella di conciliare l’incremento del pil, la qualità della vita e la tutela della natura, perché «una difesa dell’ambiente che si riduca alla moltiplicazione di veti contro la crescita è sterile e perdente». La grande nemica è la paura del futuro che deve essere allontanata per poter guardare in avanti con speranza e fiducia: come uno scoglio il “Discorso” si oppone ai marosi agitati delle apocalittiche distopie che, in questo inizio millennio, affollano le nostre più cupe visioni sul domani.
Per poter praticare questo ottimismo, però, Veltroni ha dovuto escludere dall’orizzonte del suo sguardo l’idea che possano esistere limiti allo sviluppo. Non so se questa esclusione gli sia risultata facile, o addirittura naturale, in virtù della lunga militanza in partiti d’ispirazione comunista che a un progresso illimitato, e identificato con lo sviluppo economico, legavano la visione delle “magnifiche sorti e progressive” dell’umanità; fatto sta che questa assenza oggi si salda assai bene con le visioni liberiste e con l’assoluto bisogno da parte della finanza internazionale di avere a disposizione, sempre, un futuro da ipotecare. Sul futuro, sul modo di trattarlo, si scontrano infatti due paradigmi: da un lato lo sguardo ecologico che, contemplando nelle dinamiche evolutive dei sistemi anche la possibilità della loro autodistruzione, afferma la necessità di un principio di responsabilità nei confronti delle prossime generazioni; dall’altro quello della finanza che questa prospettiva non può prendere in considerazione, perché nella esistenza di un futuro inesauribile, risultato di una crescita economica continua, e dalla conseguente capacità di trasferire nel domani i debiti contratti nel presente che tanto più piccoli e trascurabili saranno quanto più grande sarà la sperata ricchezza futura, vede il proprio fondamento.

Nel “Discorso” Veltroni tenta un ambientalismo che, una volta privato della consapevolezza dei limiti dello sviluppo, può accettare la conciliabilità della crescita del pil con la tutela ambientale e la qualità della vita (eppure non è solo dagli ambientalisti che vengono le critiche al pil come strumento valido per misurare la ricchezza delle nazioni: il cosiddetto “paradosso di Easterling” segnala come nei paesi occidentali si sia verificato a partire dagli anni Settanta un disaccoppiamento fra la crescita del prodotto interno lordo e la crescita della soddisfazione percepita). Rincorrendo un futuro radioso, scompare nella prospettiva veltroniana anche il principio di precauzione: il nostro destino sembra infatti venire completamente affidato alla scienza e alla tecnologia disegnate come enti autonomi e svincolati da ogni pressione e controllo economico e finanziario. E scompare ogni diffidenza nei confronti delle dipendenze indotte dalle tecnologie e delle dinamiche paradossali e parossistiche che vengono da loro generate e in cui è difficile cogliere le differenze e i confini fra male e rimedio, fra vantaggio e danno.
Anche la “civiltà del rischio” scompare nel “Discorso di Spello” come pure la consapevolezza che la gestione della paura sia divenuta ormai a livello globale fonte di guadagno e prevale così, nella visione di Veltroni, un mondo da misurare con il metro delle medie statistiche: «la nostra vita media è più lunga» perché «l’acqua, l’aria, il cibo sono più controllati»; poco importa se questo si scontra con l’evidenza che il benessere non si spalma in maniera uniforme sull’umanità, ma che, al contrario, per garantire il benessere dei pochi su cui si possono calcola-re le medie, i più vengono semplicemente lasciati fuori dal computo. Se la media è la misura di tutto allora la difesa del territorio da parte di chi ci abita diventa nimby, una egoistica perturbazione localistica, un’increspatura da livellare sotto il peso delle cifre.
La recessione mondiale ormai in atto impone che le questioni ambientali debbano, come al solito, essere sacrificate in nome della crescita; come dirlo a un elettorato che dei rischi ambientali diventa sempre più consapevole è uno dei due problemi che Veltroni si è posto; l’altro è quello di tranquillizzare imprese, banche e investitori internazionali sulla sua volontà di non fermare le grandi opere, i termovalorizzatori, i rigassificatori, di fare la TAV e riprendere magari anche l’idea del Ponte e del nucleare a proposito del quale già Bersani si era detto favorevole.
Il discorso di Veltroni conferma che le ragioni vere per cui è si è sfaldata la maggioranza che sosteneva Prodi vanno ricercate non certo nell’umbratile Mastella, ma nel documento di sfiducia a Pecoraro Scanio e nell’illuminante allegato dossier dell’enel in cui si asserisce che «i costi del “non fare”» dovuto all’intervento del Ministero dell’Ambiente «nel solo settore energetico sono già valutabili in 40 miliardi di euro, il 3 % del pil, e raggiungeranno i 200 miliardi nel 2020, qualora si proseguisse con il medesimo indirizzo; si tratta del blocco della costruzione di nuove centrali a carbone, dei rigassificatori, dei termovalorizzatori, della costruzione di nuove linee di trasporto dell’energia, del tentativo di bloccare qualsiasi partecipazione dell’Italia allo sviluppo del nucleare sicuro».

Nessun commento: