lunedì 17 maggio 2004

Guardatevi intorno

Guardatevi intorno: tutto quello che vedrete è artificio.
Non c'è un solo centimetro quadrato intorno a noi che sia così com'è senza che sia stato voluto da una mente e da una mano umana.

Una densa pellicola di manufatti imparentati da una rete di segni ricopre e da significato a qualcosa che altrimenti ci riempirebbe di terrore: è questo quello che abbiamo fatto nel nostro tentativo di trasformare il Mondo in un Giardino.
Qualunque operazione che abbia come scopo quello di modificare la Realtà segue una precedente modificazione della Coscienza e tende ad adeguare quella a questa. [cfr. Eliade sulla tecnologia]
Le cose infatti, al di fuori di un sistema di valori, semplicemente non esistono.

Noi, sopraffatti da questa lussureggiante, intricatissima e consolatoria foresta di simboli in cui ogni mistero è cancellato, rimosso, reso invisibile, ci aggiriamo in essa come sonnambuli: incapaci di vedere quale terribile strumento di distruzione e di morte sia l'automobile, continuiamo a vederla come un oggetto bello e desiderabile; nella costata, chi vede più il vitello scannato e nella pelliccia la volpe bianca con un elettrodo in bocca e l'altro nell'ano?

Questa invenzione collettiva, che muoveva dal desiderio e dalla necessità, ha ricoperto con uno strato di manufatti – e di senso – la Natura, finendo per cancellarla quasi completamente ai nostri sensi; al suo posto ci siamo costruiti un confortevole “piccolo mondo semplice” in cui le cose fanno esattamente quello che noi vogliamo che facciano.
Abbiamo allontanato tutti gli animali che avrebbero potuto arrecarci danno o risultare sgradevoli, abbiamo selezionato varietà di piante che danno frutti così come li immaginavamo nei nostri sogni: abbiamo ridisegnato la Realtà nel modo a noi più congeniale, perchè potessimo vivere con meno fatica possibile. Viviamo una Realtà fatta di strade levigate che portano sempre da qualche parte, da piani di appoggio perfettamente paralleli al suolo, da palazzine dalle linee di semplice geometria euclidea, di notti illuminate dalle luci elettriche per tenere lontani i nostri incubi, di banchi frigoriferi che danno latte e uova e carne già affettata senza che la morte debba più venire a turbarci.
Per poter vivere comodamente abbiamo cancellato dalla nostra quotidianeità la complessità e l'enigmaticità del Mondo; abbiamo dovuto fare in modo di allontanare da noi qualunque cosa potesse turbare la nostra certezza di vivere in un Mondo stabile sul quale possiamo esercitare ogni controllo e quando nonostante tutte le nostre precauzioni l'imprevisto e l'imprevedibile forzeranno le porte della nostra sicurezza, potremo ancora fare finta di non vederlo.
Quest'invenzione collettiva, che noi spesso chiamiamo Realtà, grandiosa operazione di natura metafisica, ci ha resi prigionieri: ha reso prigionieri i suoi stessi creatori.
Dare ordine a ciò che ci pare che non ne abbia, dare il nostro contributo alla Creazione ponendo ordine a ciò che è stato distrattamente dimenticato dal Creatore; dare senso cioè rendere utile all'uomo seguendo l'assunto che il Mondo è stato costruito ad esclusivo beneficio dell'Uomo: agli occhi del Mondo Antico quest'ultima affermazione sarebbe suonata di un'intollerabile empietà.

Nel quotidiano non cerchiamo più di interpretare la Natura, semplicemente l'abbiamo sostituita con un “piccolo mondo semplice” in cui le cose fanno esattamente quello che noi vogliamo
Il paesaggio che ci circonda è il risultato dell'operato, dei desideri, delle aspirazioni, dell'immaginario delle generazioni che ci hanno preceduto: è un'invenzione collettiva fatta di contributi allotrî e di successivi tentativi di razionalizzarli, di conferire loro coerenza; oppure di cancellarli.
Come nell'opera di Magritte che porta quel nome, ciò che ci circonda ha i caratteri dell'invenzione nel suo essere frutto di arbitrio; ma nel suo essere frutto della collettività sembra, non essendo ad alcuno imputabile una responsabilità più che parziale, un'inevitabile frutto della Storia: cecità che ci è indotta dal Presente assunto a misura di tutto.
Nel Centro, dove il senso dell'operare viene meno corrotto dalle derive del senso, il paesaggio viene ricondotto ad una sua coerenza; ma nella periferia, dove tutto viene fatto convivere con tutto, dove il tempo viene scandito dagli sbadigli della Storia e l'abitudine può più che la ragione, il paesaggio assume più spesso l'aspetto di un comico e tragico bricolage.

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