martedì 31 dicembre 2002

Fassino o della malinconia

Dove non si discute dell’indole tendenzialmente triste del segretario dei DS, bensì dell’idea che lo sviluppo si curi con lo sviluppo.

D’altra parte le nuove frontiere a cui è giunta la ricerca in pochi decenni, offrono l’opportunità di un salto straordinario nella tutela della vita umana e nella qualità dell’esistenza quotidiana. Così come con lo sviluppo di nuove tecnologie è oggi possibile una gestione non conflittuale delle trasformazioni ambientali e del loro impatto sul territorio e habitat, superando la contrapposizione tra tutela dell’ambiente e modernizzazione infrastrutturale.
MOZIONE FASSINO: “La sinistra cambia per governare il futuro. Con l'Italia . Nell'Ulivo”, Tesi n° 10


In un saggio intitolato Le reméde dans le mal Jean Starobinski mette a fuoco il rapporto paradossale che da Rousseau viene instaurato fra il male e il suo rimedio: d’allora in poi entrambi i termini appaiono inestricabilmente avvinti in una spirale ricorsiva che li moltiplica.
Il presunto progredire delle scienze e delle arti, a somiglianza degli ambigui benefici dell’arte medica, costringe le sue vittime a ricorrere continuamente ai suoi prodotti.
Il progredire della civiltà che ha posto fine all’originale stato naturale, ha innescato un processo per cui ai guasti della civiltà, non si può rispondere che con la civiltà stessa, che a sua volta produrrà altri guasti e così via… Il rimedio con cui si è tentato di curare il male originario non ha potuto fare altro che amplificare il male e spingere a ricercare nuovi rimedi.
Starobinski, a partire da questa dinamica paradossale, vede condensarsi una sorta di nuova figura retorica che chiama “telefismo”, da Télefo che, ferito, fu guarito da Ulisse con un preparato che conteneva la ruggine della stessa lancia con cui Achille l’aveva colpito. “Il telefismo – si chiede Starobinski – non potrebbe designare un a duplicazione di ambivalenza, un’ulteriore ambiguità aggiunta all’interno dell’organizzazione sado-masochista?”
(Mitridatismo e omeopatia in questo lontano mito trovano le loro – oscure – ragioni)

O viva morte, o dilettoso male,
come puoi tanto in me s’io nol consento?

Il pascersi dei propri dolori, il rallegrarsi delle proprie afflizioni è il sintomo principale della melencholia, quella che oggi, comunemente, chiamiamo depressione e che Dante chiamava accidia: il male diventa cura e la cura male. Il malinconico si ripiega dolorosamente su sé stesso incapace di trovare altro lenimento se non il ripiegarsi su se stesso: così la cura perpetua gioiosamente il male, infatti senza il male non ci sarebbe il sollievo procurato dalla cura.
Se la malinconia è all’origine del moderno sentire (vedi bibliografia minima in calce) questa nuova figura retorica è alla base del quotidiano discorso sul mondo che, fatto di una progressiva accentuazione della distanza dallo “stato naturale” e dalla cancellazione di tutto ciò, come la morte e il sangue, possa disturbare il consumo, fa dell’aspirazione nostalgica a tutto quanto è naturale uno strumento di vendita.

Conclusione.
L’impero trionfante del logo ha sostituito alla ricerca del senso la consolazione per la sua mancanza. Ma di questa mancanza noi ci nutriamo al fine di essere consolati.
E se l’idea che lo sviluppo si curi con lo sviluppo fosse un artificio retorico di cui non possiamo fare a meno perché ci dà una seppur effimera e superficiale felicità?
E se fosse la consapevolezza di tutto questo a piegare le spalle di Fassino?


Bibliografia
Jean Starobinski, Il rimedio del male, Einaudi 1990
J. J. Rousseau, Discorso sulle scienze e sulle arti, in J.-J. Rousseau, Discorsi, a cura di L. Luporini, Milano, Rizzoli, 1997, pp. 33-81
Klibansky, Panofsky, Saxl, Saturno e la Melanconia, Einaudi 1983
Massimo Riva, Saturno e le Grazie, Sellerio 1992
AA.VV. Le macchine celibi, Alfieri 1975 (Eh, eh …)
Francesco Petrarca, Sonetto XXII, (che riporto intero, perché così mi piace)


Soneto XXII

S' amor non è, che dunque è quel ch' io sento?
Ma s'egli è amor, per Dio, che cosa et quale?
Se bona, onde l'effetto aspro mortale?
Se ria, onde si dolce ogni tormento?

S'a mia voglia ardo, onde 'l pianto e 'l lamento?
S'a mal mio grado, il lamentar che vale?
O viva morte, o dilectoso male,
Come puoi tanto in me s'io no 'l consento?

Et s'io 'l consento, a gran torto mi doglio.
Fra sí contrari vènti, in frale barca
Mi trivo in alto mar, senza governo,

Sí lieve di saber, d'error sí carca,
Ch'i' medesmo non so quel ch' io mi voglio,
Et tremo a mèzza state, ardendo il verno

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